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“LA PACE DANNATA” ADELAIDE DANTE DE FINO DEBUTTA ALL’ISCHIA FILM FESTIVAL

Adelaide Dante De Fino, giovanissima ed emergente regista, caratteristiche: creatività ed allo stesso tempo una scrupolosità fino all’ultimo dettaglio: dalla

Adelaide Dante De Fino, giovanissima ed emergente regista, caratteristiche: creatività ed allo stesso tempo una scrupolosità fino all’ultimo dettaglio: dalla scelta dei testi, alla regia, al montaggio. Le chiediamo come nasce questo corto innanzitutto e perché ambientarlo a Potenza…
«La pace dannata” nasce dall’esigenza di cimentarmi nel racconto di una storia drammatica (per me è la prima volta), e soprattutto attuale. In questo mi ha assecondato mio padre (Maurizio Odoardo De Fino), che ha scritto per me la sceneggiatura di questo cortometraggio. Ci abbiamo creduto insieme. Raccontare il dolore, ma soprattutto la forza e il coraggio di due madri stranamente mi è venuto naturale. I protagonisti, i luoghi, la fotografia, la colonna sonora…tutto mi è stato ben chiaro dall’inizio. Ho raccontato la storia di Miriam ed Elena (interpretate rispettivamente da Nadia Kibout e Nicole Millo) che pur di riportare a casa i propri figli partiti foreign fighters escogitano un piano. Nonostante ciò è una storia universale: la forza nella disperazione. Avevo bisogno di due appartamenti, di un condominio e di una periferia. Io la definisco una struttura ad imbuto nel quale i personaggi si sono incastrati. Potenza mi ha ispirato. È la mia città e non potrebbe essere altrimenti. Sempre a Potenza ho deciso di girare anche il mio prossimo lavoro “La giornata del Professor C.”, un altro omaggio alla mia famiglia come “Papaveri e papere” il cortometraggio precedente. Insomma forse non avrei fatto la regista se non avessi avuto la famiglia che ho e non fossi stata lucana.Il rione “Serpentone” si è prestato ad essere una periferia perfetta, esattamente come la immaginavo, da alcune angolazioni richiama la banlieue parigina, mentre gli interni del condominio li ho scelti grazie ad un lucernario che mi ha stregata passandoci sotto quasi ogni giorno e non potevo non utilizzarlo in apertura sui titoli di testa che per me sono fondamentali, servono a catapultarti subito nel mood del film».
Adelaide hai lavorato a “ Lapace Dannata” a luglio scorso, ma quando potremmo vederlo nelle sale?
«Ho girato “La pace dannata” quasi un anno fa ed inizieremo a portarlo in giro dal 5 Luglio, siamo in concorso all’Ischia Film Festival dove ci sarà l’anteprima del corto. L’IFF è un festival a cui io tengo molto. L’atmosfera lì è magica e spero mi porti fortuna come è già accaduto in passato. Continueremo l’estate con altri festival e rassegne…poi chissà».
Ma cosa è la settima arte per te? Ti conosco bene e so bene che per te la cultura visiva è una “mission” ma allo stesso tempo dai una importanza notevole anche alla sceneggiatura, alle parole. Te lo devo dire, sei tra le poche che ancora crede in questa osmosi. Perché?
«Per me il cinema è come vivere e realizzare un sogno. Siete mai riusciti a fare un sogno e mostrarlo a tutti?! Il cinema puó farlo! È un’esperienza immersiva dinamica per noi che realizziamo il film e immersiva ed immobile per lo spettatore. È sognare insieme. Un “co-dreaming”?!
Si. È vero, per me è molto importante curare l’immagine il più possibile e per questo devo ringraziare la mia squadra: il direttore della fotografia Ugo Lo Pinto, il costumista Giuseppe Ricciardi, lo scenografo Cristian Auricchio ed il mio braccio destro Michele Bizzi che insieme alla casa di produzione Kinedimorae cura sempre anche la postproduzione. Tutti loro hanno una sensibilità straordinaria e riescono a ricreare esattamente quello che voglio. Ormai sanno quanto io sia esigente e puntigliosa. Sul set non è permesso distrarsi e perdere d’occhio le intenzioni, se siamo tutti nella storia è più semplice anche per gli attori fare il loro lavoro. Per far capire quello che voglio spesso utilizzo i colori, un linguaggio infantile ma efficace. In “Papaveri e papere” parlavo di “rosa” per l’aspetto romantico di quella favola moderna che volevo rappresentare, mentre per “La pace dannata” ho spesso parlato di “blu” e “verde acido”. Però, come dicevi, per me l’immagine non avrebbe lo stesso valore se non dessi la stessa importanza alla sceneggiatura. È il primo passo per me e per tutto il cast. Lavoriamo insieme per caratterizzare al meglio i personaggi ed i luoghi. La scena ne è figlia. Mi piace poter pensare che i miei lavori si possono vedere senza ascoltarli ed ascoltarli senza vederli capendone comunque la storia, il messaggio…o almeno io ci provo!»

 

DUE MADRI TRA AMORE E TERRORISMO

Un interno che ruota, gira su se stesso, un avvitamento lento, lento, cadenzato da un pianto, un lamento senza tempo, Un bianco sporco da palazzo di periferia, una normale porta di quella banali, ma che dietro nascondono storie e segreti. Un’aria di tranquillità mal celata, di quella pace da periferia destinate prima o poi a frantumarsi. La Pace Dannata “La Paix Damnèe”prodotto da Boogie Production e Kinedimorae, nei suoi 15 minuti diretti da Adelaide Dante De Fino, cela con raffinatezza mai pesante una narrazione drammaticamente attuale, portando lo spettatore in un viaggio tra luoghi che possono essere ovunque. Lo scenario di periferia è trasformato, con giochi di colore leggeri, da palazzi sempre uguali a se stessi, in una geometria senza passione e senza fantasia, quel cielo che potrebbe essere lucano come di una banlieue parigina. Quei non luoghi ma così reali di una porzione di società che vive in se stessa e per se stessa. Il serpentone di Potenza diventa una piccola kasbah con falsi tappeti di Damasco, gli interni di una qualunque casa popolare di un’Italia che non esiste più sono lo scenario intimo di un mondo che ha perso i suoi confini e forse anche le sue identità, quelle dalle radici profonde che possono miscelarsi senza perdere se stessi. Potrebbe spuntare un Minareto di un’improvvisata moschea oppure un vecchio contadino di una Lucania ancestrale, il ritmo cadenzato ingloba in una miscellanea di linguaggi differenti, un felice contratto da leggiadro barocco moderno. Grigio di periferie con i blu profondi di un computer, archetipo di modernità ponte tra mondi un tempo distanti nell’indifferenza ora stretti in un abbraccio che porta ad una “pace dannata”. Il lento fumo della sigaretta della Kibout, il sorriso dell’amica di sventura Nicole Millo, l’attesa di un messaggio che non arriva, di un mondo perennemente collegato nelle sue incomunicabilità. La regia di Adelaide Dante De Fino fonde questi dualismi, i dialoghi scritti da Maurizio De Fino sono di un’essenzialità profonda, nessun fronzolo tecnicisti ma di un lirismo della realtà. 

« La pace dannata a mio parere è un film importante che affronta una tematica molto seria e molto contemporanea, ovvero la perdita di un figlio per una madre. Per perdita non intendo solo fisica ma ancora prima perdere un figlio in senso morale, intellettuale per via di scelte fatte in nome di una religione. Tocca quindi il problema dell’identità nella crescita di ragazzi che raggiungono convinzioni dietro manipolazioni, in questo caso spirituali. È un film che ci porta in un viaggio duro, in un abisso, nella carne di madri che soffrono e che sono disarmate di fronte ad un qualcosa sconosciuto che è più grande di loro ma che con grande dignità e forza decidono di combattere- spiega la Kibout- sono orgogliosa della fiducia che la regista a posto in me per un ruolo così complesso, praticamente muto ma così pieno e ricco di sfumature. Non è stato semplice. Penso sia uno dei ruoli più belli a oggi fatti. E sono fiera del risultato. Ho toccato con mano il dolore, la paura e lo smarrimento con questo personaggio. È stato un set che ha permesso di “volare alto” e mi auguro che possa essere visto il più possibile questo piccolo(inteso come corto) ma importante film che vuole dare un contributo circa la problematica del terrorismo che ci affligge ogni giorno che sia in Italia o altrove».

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