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“Femminicidio e violenza di genere: profili giuridici e criminologici” intervento Dott.ssa URSULA FRANCO

Intervento convegno A.I.G.A. ~ Bologna 23 novembre 2016 Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento della Dott.ssa URSULA FRANCO (medico-criminologo) al convegno dell’Associazione

Intervento convegno A.I.G.A. ~ Bologna 23 novembre 2016

Dott.ssa URSULA FRANCO
Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento della Dott.ssa URSULA FRANCO (medico-criminologo) al convegno dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, sezione di Bologna, “Femminicidio e violenza di genere: profili giuridici e criminologici”:

 

 

 

 

 

“Da un punto di vista sociologico per femminicidio si intende l’omicidio di una femmina commesso per punirla nel caso che, allontanandosi dal ruolo ideale imposto dalla tradizione, si sottragga al potere e al controllo del proprio padre, marito, compagno o amante che sia. Da un punto di vista criminologico l’omicidio di genere è detto invece femicidio.

Il femicidio è una conseguenza della mentalità retrograda e maschilista su cui si fonda la società patriarcale che riconosce purtroppo nella donna una sorta di possedimento del maschio ed è questa mentalità che andrebbe cambiata, un modus pensandi che non è solo di molti uomini ma anche delle donne stesse, finché non saranno anche loro a crescere le proprie figlie femmine al pari dei propri figli maschi non ce ne libereremo.

I femicidi, in genere, maturano in famiglia, possono essere l’atto finale di un percorso caratterizzato da minacce e violenze che la donna subisce per anni o la conseguenza dell’incapacità del maschio di accettare l’abbandono da parte della femmina, in questi casi, spesso, dopo il delitto, l’omicida si toglie la vita. Nel primo caso molte donne subiscono soprusi e violenze a causa della dipendenza economica dal partner, dell’educazione alla sottomissione e per proteggere i propri figli.

Purtroppo, quando di femminicidio se ne parla a sproposito, mi riferisco ai non addetti ai lavori, c’è il rischio di incorrere in un errore giudiziario. Non tutte le morti di donne sono ascrivibili a un femicidio, a volte si tratta di morti accidentali come è accaduto nel caso di Elena Ceste.

Sono consulente di Michele Buoninconti da quasi due anni, sono arrivata alla difesa dopo aver compreso il caso, non mi sono mai sentita un consulente di parte, sono sempre stata dalla parte della verità.

La vera vittima di questo caso giudiziario è Michele Buoninconti e non sua moglie Elena, la quale è morta per cause accidentali dopo essersi allontanata volontariamente da casa in preda ad una crisi psicotica.

Purtroppo il clima di caccia alle streghe in cui è maturata questa vicenda e l’incompetenza diffusa sono state fatali, non solo a Buoninconti ma anche ai suoi figli, il ‘patto di fiducia’ tra di loro ha subito una frattura irreversibile che neanche un’assoluzione sarà in grado di sanare.

Il goffo tentativo di affrancare la Ceste dalla malattia psichiatrica, che già prima del ritrovamento del corpo le era stata diagnosticata dallo psichiatra consulente dell’accusa, è un segnale di un’arretratezza culturale che fa venire i brividi, coloro che negano la psicosi di Elena hanno la responsabilità, non solo di una condanna ingiusta ma anche dell’aver lasciato passare il messaggio che una malattia psichiatrica, nel terzo millennio, sia uno stigma di cui vergognarsi.

Buoniconti è stato indagato e poi condannato perché gli inquirenti, i loro consulenti ed il giudice Amerio non sono stati in grado di spiegarsi la morte di Elena ed il ritrovamento del suo corpo nudo in quel rio se non con un omicidio. Tale conclusione è il frutto di una ‘tunnel vision’ che ha colpito in primis i carabinieri della stazione di Costigliole d’Asti e poi ha inesorabilmente infettato, come un virus, le conclusioni di tutti. Il denudamento è un sintomo della psicosi. La scienza e la casistica parlano chiaro, esistono migliaia di foto e di video di soggetti psicotici che camminano per strada nudi. Una crisi psicotica non ha né orari né stagioni, il distacco dalla realtà impedisce a chi ne è affetto di percepire il dolore, il freddo o il caldo.

Ma veniamo a voi giovani avvocati: se vi troverete a indossare le vesti di avvocato di parte civile, ad accusare o a difendere un uomo già processato dai media, vi invito con il cuore a spulciare gli atti, a non essere indolenti, a non cercare escamotage e a servirvi di esperti. La verità esiste ed è immarcescibile e poiché i fatti accaduti sono immutabili la verità si ricava dagli atti, anche ad anni di distanza, ma per riconoscere bisogna conoscere; la casistica è tutto; i fatti umani si ripetono come copioni, molte procure ‘non lo sanno’ e proprio per questo motivo si cimentano in ricostruzioni irrealistiche come nel caso di Elena Ceste e di Maria Ungureanu.

Da qualche settimana, mi sto occupando di una revisione, questa volta di un vero caso di femicidio, la verità emerge con forza dagli atti, è eclatante ed è stata sempre sotto gli occhi di tutti ma purtroppo un altro uomo innocente langue in galera per un omicidio che non ha commesso.

Come avrete capito ciò che più mi sta a cuore come criminologo è l’errore giudiziario.

Possono essere molteplici le cause di errore, tre sono le principali: l’incompetenza di chi indaga; l’incompetenza dell’avvocato della difesa; i consulenti disonesti che, spesso, in primis, mentono sui propri titoli e poi, pur di appoggiare la tesi di una procura, affermano il falso; un truffatore è un truffatore tout court.

Quella dei consulenti incompetenti e/o ‘partigiani’ è una realtà sotto gli occhi di tutti ed è una delle cause delle lungaggini del nostro sistema giudiziario.

Per quanto riguarda gli avvocati della difesa, il mio professore di diritto penale è stato l’avvocato Eraldo Stefani, un avvocato che difende soltanto rei confessi ed innocenti, capirete perchè io non accetti facilmente che un penalista non sia interessato alla verità, che non la cerchi, ma soprattutto che non la riconosca quando questa è palese. La verità, a differenza degli escamotage difensivi, è spendibile ad aeternum ma è necessario esserne cultori. Vi auguro che non vi capiti mai di sottovalutare il caso della vostra vita per il vostro assistito, del quale ipotecherete il futuro per sempre, ma anche per voi, in specie se qualcuno vi ha messo sul tavolo la verità e voi non avete voluto crederci per presunzione.

Vorrei consigliarvi, anche, di non sottostare ai teatrini televisivi che sono la morte della professione di avvocato, delle scienze forensi, di ogni morale e della giustizia.

Non accompagnatevi agli spietati ‘giornalisti’ che speculano sulla vita degli altri per farne spettacolini di serie B, questo genere di personaggi hanno tratti psicopatici di personalità che gli permettono di mentire, di approfittarsi di chi soffre e di manipolare i fatti senza provare alcun senso di colpa. Chi si trova coinvolto all’improvviso in un caso giudiziario è equiparabile ad un malato terminale, è facilmente manovrabile e soprattutto crede che una faccia televisiva possa aiutarlo, a prescindere dalle sue competenze e dai suoi convincimenti. Certi ‘giornalisti’, attraverso promesse ai protagonisti di una vicenda giudiziaria, che siano parenti o avvocati, cercano di inserire i propri ‘opinionisti’ o addirittura di sostituire i consulenti già incaricati con chi collabora alle loro trasmissioni, se non riescono nel loro intento, che ha il fine ultimo ed unico di dare ‘prestigio’ al loro programma, sottopongono il consulente in carica ad una epurazione televisiva che consiste nel non nominarlo mai per non mettere in ombra chi siede nei loro salotti e per attribuire ad altri le sue conclusioni scientifiche. Sta succedendo a me nel caso Buoninconti- Ceste, nonostante l’Atto d’Appello dell’avvocato Giuseppe Marazzita sia costruito sulla mia consulenza.

Per questi motivi, noi che non blateriamo in tv ma affrontiamo sul campo i casi giudiziari abbiamo il dovere di tener fuori dal nostro mondo di professionisti lo spettacolo pietoso dei talk show televisivi. Le elucubrazioni degli incompetenti che popolano i salotti televisivi arrecano danno alla società contribuendo agli errori giudiziari che hanno un costo umano incalcolabile per i protagonisti ed uno economico per i cittadini. Disquisire delle responsabilità di qualcuno in merito ad un reato così grave come l’omicidio senza averne le competenze è un rischio che solo chi non ha consapevolezza dei propri limiti culturali può prendersi; si tratta dell’effetto Dunning-Kruger, una distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi e rifiutano di accettare la propria incompetenza.

I media purtroppo non soltanto intrattengono la massa ma, influenzando i testimoni dei vari procedimenti ne condizionano inevitabilmente le testimonianze e spesso forgiano anche il pensiero di inquirenti e giudici pigri.

Voglio raccontarvi un breve aneddoto sul processo a Buoninconti: l’Associazione Penelope, che notoriamente si occupa di scomparsi, si è costituita parte civile ed il giudice Amerio, dopo aver condannato a 30 anni un innocente per un omicidio mai avvenuto, ha disposto un risarcimento a loro favore, l’ennesimo paradosso. Vi chiederete che c’entri Penelope con l’errore giudiziario: l’avvocatessa Donzella di Penelope avrebbe dovuto capire dallo studio degli atti che non era stato commesso un omicidio e, allo stesso modo, avrebbero dovuto capirlo gli avvocati di parte civile Zaro e Stabbia; non è scontato che un avvocato di parte civile sostenga le conclusioni di una procura, la regola dovrebbe essere collaborare alla ricerca della verità.

Sono due le domande che continuo a pormi: In quanti studiano gli atti prima di prendere una posizione? In quanti, dopo averli letti, sono in grado di processarli?

Vi assicuro che Buoninconti non è il solo a consumarsi in galera a causa della superficialità e dell’incompetenza.

Infine, i consigli che sento di darvi sono questi: aprite la mente al metodo logico scientifico; non cercate mai le vie più facili ma quelle certe nella ricerca della verità; lasciatevi conquistare dalle scienze criminologiche che sono scienze esatte; non mettete in dubbio la psichiatria come sta succedendo nel caso di Elena Ceste, ciò che gli avvocati non conoscono o non vedono a causa della loro formazione, esiste comunque.

La criminologia non è materia da salotti, è una scienza con un’indubbia funzione pragmatica. Avvocati e criminologi sono complementari, solo insieme saremo in grado di migliorare lo stato della Giustizia nel nostro paese”.

Domenico Leccese

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