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R.D. 523/1904 Fascia di rispetto dei corsi d’acqua, inedificabilità assoluta o derogabile?

Il divieto di costruzione ad una certa distanza dagli argini dei corsi d’acqua demaniali, imposto dall’art. 96 lett. f), R.D.

Il divieto di costruzione ad una certa distanza dagli argini dei corsi d’acqua demaniali, imposto dall’art. 96 lett. f), R.D. 25 luglio 1904 n. 523, ha carattere assoluto ed inderogabile
FIUME BASENTO tratto urbano

Il cosiddetto vincolo fluviale impone inedificabilità all’interno di esso e quindi assume carattere di vincolo assoluto

La norma è assai datata e aveva il preciso scopo di tutelare i corsi d’acqua, argini ed elementi ripariali, e fu introdotta dall’art. 96 lett. f del Regio Decreto 523/1904.

Analizziamo le risultanze facendo riferimento alla sentenza del CdS V n. 3147/2014.

L’articolo 96 dispone il divieto assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese di molte tipologie di opere.

Focalizzando il punto f) si legge della distanza «stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località» e in mancanza di queste, non «minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi».
FIUME BASENTO tratto urbano

La norma, anche in base a quanto confermato dalla Cass. Civ. SS.UU. n. 17784 del 30 luglio 2009, aveva due principali scopi:
tutelare la ragione pubblicistica dello sfruttamento delle acque demaniali;
mantenere libero il deflusso delle acque scorrenti di fiumi, torrenti canali e scolatoi pubblici;

Questa disposizione assume carattere legale e inderogabile, e quindi la prima conseguenza è che le opere costruite in violazione di questo divieto ricadono nella casistica dell’art. 33 della L. 47/85, e pertanto non sono ammesse ad ottenere la sanatoria [1].

Alla luce del generale divieto di costruzione di opere in prossimità degli argini dei corsi d’acqua, il rinvio alla normativa locale assume carattere eccezionale.

La normativa locale per poter prevalere sul punto disposto dal R.D. 523/1904, deve avere carattere specifico, ossia essere una normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi l’eventuale deroga.

Per norma locale si può intendere lo strumento urbanistico, come può essere il PRG, a condizione che tale strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini anche in eventuale deroga alla disposizione della lettera f) dell’art. 96, relazionandosi alla specifica condizione locale delle acque di cui trattasi (cfr. Cass. civ., SS. UU., 18 luglio 2008, n. 19813; Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2011, n. 2544).

In mancanza di una difforme disciplina sul punto specifico nel P.R.G., non sussiste una normativa locale derogatoria di quella generale, alla quale dunque occorre fare riferimento.

Note e Riferimenti
[1] (Cons. Stato Sez. V, 26 marzo 2009, n. 1814; Cons. Stato Sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 772; Cons. Stato Sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3781; Trib. Sup. acque pubbl., 15 marzo 2011, n. 35).

La II Sezione del Tribunale Amministrativo della Regione Lombardia, Sede di Brescia, con la sentenza 2 ottobre 2013, n. 814, ha ritenuto ostativa la mancata osservanza della distanza minima dal corso d’acqua stabilita dal citato articolo 96 del r.d. 523 del 1904 per ragioni di sicurezza idraulica, poiché non sono condivisibili i rilievi sulle circostanze che il manufatto non impedisce il corretto deflusso delle acque né le opere di manutenzione, e che in oltre 50 anni non si sono mai verificati pericoli.

La giurisprudenza civile e amministrativa si attesta sul canone per il quale “in linea generale il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d’acqua, previsto dall’art. 96, lett. f), del Testo Unico 25 luglio 1904, n. 523, ha carattere legale, assoluto e inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche e soprattutto il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (Cassazione civile, sezioni unite, 30 luglio 2009, n. 17784)”.

La norma suddetta risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni.

La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (T.A.R. Toscana, sez. III, 8 marzo 2012, n. 439).

In assenza di elementi a suffragio dell’applicazione della deroga contenuta nella lett. f) del citato articolo 96, ne consegue tra l’altro che nessuna opera realizzata in violazione della norma de qua può essere sanata e altresì, che è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all’interno della fascia di servitù idraulica, atteso che, nell’ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto, trova applicazione l’articolo 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree (TAR Lazio, Latina, Sez. I, 15 dicembre 2010, n. 1981).

Domenico Leccese

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