Eventi e Cultura

L’ANTICO E OTTIMO GARUM DI MARATEA

  di Carmensita Bellettieri Tempo di vacanze. E’ tempo di fare un salto a Maratea, “perla del Tirreno”, per essere

 

di Carmensita Bellettieri

Tempo di vacanze. E’ tempo di fare un salto a Maratea, “perla del Tirreno”, per essere invasi dalla bellezza dei suoi paesaggi e gustare la più ricercata salsina dell’antichità: il garum, l’antenato illustre di quasi tutte le altre salse mediterranee. Croce e delizia della più gloriosa tradizione gastronomica romana. La produzione marateota della salamoia di pesce azzurro ed erbe aromatiche risulta attiva tra la tarda età ellenistica e quella tardoromana, soprattutto sull’isola di Santo Janni.

Partiamo dall’inizio. La ricetta più completa per la preparazione del garum arriva dal III sec d. C. E ce la scrive Marziale:

 

« si prendano pesci grassi come salmoni, anguille, salacche, sardine; quindi a tali pesci si uniscano sale, erbe aromatiche secche come aneto, menta, levistico, puleggio, timo, serpillo, coriandolo, sedano, origano, ruta, salvia, santoreggia ed altre. Di queste erbe si disponga un primo strato sul fondo di un capace vaso; sovra si ponga uno strato di pesci: interi se piccoli, a pezzi se grossi; si copra con uno spesso strato di sale e si ripeta l’operazione fino a che il vaso sia colmo. Si chiuda quindi con un coperchio e si lasci riposare per sette giorni. Poi, per venti giorni, si rimescoli il tutto. Alla fine si raccolga il liquido che ne colerà ».

 

Secondo Plinio, il garum più buono era conosciuto come garum sociorum e proveniva dalla Spagna: un prodotto molto costoso e ricercato preparato con gli sgombri che arrivavano dall’Atlantico. I tipi e le qualità di garum erano diversi, tra cui i più importanti erano: il pregiatissimo Fiore di Garum (Gari Flos), colatura semplice senza altri condimenti, il Garum castimoniale ottenuto da scaglie del pesce. Le migliori qualità erano costosissime, quasi quanto i più preziosi unguenti orientali e per questo si usava mescolarlo ad esempio con acqua (Hidrogarum), con vino (Oenogarum), con aceto (Oxigarum) ed anche con miele (Mellogarum) e spesso lo si aggiungeva all’olio per insaporirlo e preparare direttamente in tavola una sorta di vinaigrette. Tra le salse di oggi molto simili all’originario garum, prima fra tutte si trova la famosa Colata di Alici di Cetara. Anche se non proprio gli ingredienti specifici ma il processo e il concetto stesso di garum si ritrova nella Bottarga, nel condimento del’insalata romana di puntarelle, nella  Anchoïde  provenzale, nella Taramosalada greca e nella stessa Bagna Caôda, la più famosa salsa piemontese dove aglio, olio e acciughe sotto sale si fondono in una sapore forte ed allo stesso tempo delicato ottima per intingervi le verdure di stagione.

 

Questo liquido per condire gli alimenti era tra le cose più ricercate dai Romani, che la mettevano un po’ dappertutto, tanto da diventare poi i maggiori produttori, soprattutto sulle coste tirreniche e spagnole, esportatori e conoscitori di garum. In realtà la salsa è di origine mediorientale, se ne trovano tracce in una ricetta babilonese del 1700 a. C., e i Romani l’hanno conosciuta e apprezzata tramite i cuochi greci. Le fabbriche di Garum si trovavano sempre vicino agli allevamenti di pesce, alle tonnare o ai luoghi rinomati per la pesca e le saline: tra questi si annovera anche Maratea. Dal II sec a. C. La costa tirrenica lucana godette di una fortunata posizione, grazie alla presenza della via Popilia o Annia (la via consolare Reggio-Capua) che si raccordava nei pressi di Nerulum (Lagonegro) con la via Erculia. Questa nuova via di comunicazione permise la nascita di varie attività produttive attive fino al IV sec d.C., tra cui la villa marittima di Capo la Secca e l’insediamento  produttivo di Santo Janni, entrambi specializzati nella produzione di garum.

 

L’isola di Santo Janni. Sul fianco meridionale dell’isolotto, gli archeologi hanno rinvenuto sette vasche quadrangolari, lavorate in cocciopesto e pietre di mare, destinate allo stoccaggio e all’allevamento del pesce.

Sull’isola venivano prodotte varie salse di pesce, tra cui il famoso garum. Per la sua posizione, l’isola era sia centro di produzione che di smercio. Nei fondali intorno ad essa, infatti, decine e decine di ceppi d’àncora ed anfore romane sono stati ripescati, in viarie campagne di ricerca, facendo così diventare lo specchio di mare intorno a Santo Janni il giacimento archeologico subacqueo di epoca romana esplorato più grande del Mediterraneo.

 

Sul lato meridionale dell’isola di Santo Janni. gli archeologi hanno rinvenuto sette vasche quadrangolari, lavorate in cocciopesto e pietre di mare, destinate allo stoccaggio e all’allevamento ittico. Nei suoi fondali sono state recuperate decine e decine di ceppi d’àncora e anfore romane, tra cui quelle che servivano per trasportare il garum via mare e venderlo. Il “tesoro” di Santo Janni ha reso quest’area il giacimento archeologico subacqueo di epoca romana esplorato più grande del Mediterraneo.

 

Dal 2016 il garum di Maratea è un Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) grazie al recupero e alla valorizzazione da parte dell’Alsia Basilicata e all’Associazione Maratea Cittadinanza Attiva. L’impegno delle istituzioni e della cittadinanza hanno riportato sulle coste lucane un prodotto che, se rielaborato in base ai gusti del presente, potrebbe essere il gusto che fa intraprendere nuove rotte ai curiosi delle tavole.

 

 

 

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