Cronaca

‘NDRANGHETA, ORA NEL MIRINO DEI PM I FILONI LUCANI

Viaggiano veloci i fascicoli tra la Procura di Potenza e quella di Reggio Calabria. L’inchiesta è quella che ha portato

Viaggiano veloci i fascicoli tra la Procura di Potenza e quella di Reggio Calabria. L’inchiesta è quella che ha portato all’arresto dei vertici del clan Piromalli. La cosca che aveva messo radici in Basilicata grazie al luogotenente Nicola Rucireta di Pisticci, anch’egli arrestato perché considerato uno dei vertici della piramide mafiosa. Come avevamo anticipato nelle scorse edizioni, ora la questione sulla procedibilità è legata alla competenza territoriale.
Molti i lucani coinvolti nell’inchiesta, si va da politici a professionisti, passando per imprenditori, ma che nella fase preliminare non sono stati iscritti nel registro degli indagati poiché non considerati organici al clan Piromalli. La Distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha perciò trasmesso le relative notizie di reato alla procura lucana. Quest’ultima, considerando comunque taluni episodi quali reati scopo dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, avrebbe restituito gli atti a Reggio Calabria ritenendola ancora competente per quegli episodi. A questo punto anche alcuni esponenti lucani, che fino ad ora erano rimasti immuni all’inchiesta, sono stati iscritti nel registro degli indagati, ma sui nomi rimane il massimo riserbo, stante il segreto istruttorio. L’indagine denominata “Provvidenza”, infatti, non è ancora conclusa nonostante i 33 arresti operati in tutta Italia. Gli inquirenti, coordinati dai Ros dei Carabinieri, continuano a scavare sugli intrecci tra ‘ndrangheta, politica e imprenditoria, anche in Basilicata. Dalle indiscrezioni trapelate, solo per un paio di posizioni la procura lucana starebbe invece valutando di procedere autonomamente. E si tratta di quelle che vengono considerate le questioni più “spinose”. In queste ore diversi ambienti del tessuto lucano si sono detti infastiditi dal clamore che l’indagine sta avendo sulla stampa regionale. In molti, infatti, hanno fino a ora sottovalutato la portata dell’inchiesta, la quale è certamente destinata a portare nuovi clamorosi colpi di scena. Quanto ci sia di penalmente rilevante non è dato ancora comprenderlo, ma certamente delle zone d’ombra da un punto di vista etico permangono. Basti pensare che con fondi pubblici del ministero dell’economia e della Regione Basilicata sono stati di fatto finanziate le attività illecite del clan. Come avvenuto per esempio nel caso dell’export a New York dei prodotti tipici. Il consulente Vizzari, considerato il riferimento del boss Piromalli per il settore agroalimentare, prendeva i soldi pubblici per la valorizzazione dell’olio, anche lucano, nel mondo, ma in realtà faceva arrivare negli Usa, scadente olio di sansa, acquistato in paesi come la Grecia, e spacciandolo, rietichettandolo, come extra vergine di oliva italiani.

Ferdinando Moliterni

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