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IL PUNTO DI PETRULLO: TEPPISMO O MAFIOSI?

Per alcuni si tratta di una vera e propria deriva. La democrazia, in Italia, in Basilicata, si nutre di scontri all’ultimo

Per alcuni si tratta di una vera e propria deriva. luciano-petrulloLa democrazia, in Italia, in Basilicata, si nutre di scontri all’ultimo sangue, dove ci si rivolge in maniera quasi ingiuriosa all’avversario del momento, lasciando da parte, in maniera definitiva, il rispetto, l’educazione, il garbo. La prova è stata offerta, fra le altre, oppure ex plurimis come dicono i giuristi o presunti tali, dall’incontro-dibattito fra Renzi e De Mita. Abbiamo avuto modo di notare come dell’avversario, o interlocutore, si cerca di abbatterne la credibilità attingendo a qualsiasi strumento, senza approfondimenti seri, ma sputando in televisione un messaggio sempre più aggressivo perché l’opinione pubblica ne rimanga folgorata senza doverci ragionare sopra. Negli Stati Uniti sta succedendo qualcosa di simile nella campagna elettorale delle presidenziali e noi seguiamo a ruota, nel solco della politica da ring. Ma lo scontro senza esclusione di colpi, sebbene sia lo strumento principe della democrazia, ha regole ben precise, il cui mancato utilizzo distrugge il dibattito riducendolo a rissa. E’ la violenza verbale che si fa spazio e, in quanto violenza, non ha niente da invidiare a quella materiale anzi, talvolta, lascia segni più duraturi che non la lesione fisica vera e propria. Quest’ultima, poi, trova sfogo quando manca il momento dell’incontro-scontro e, a Potenza, ne abbiamo esempi sempre più frequenti. Il danneggiamento all’auto della sorella dell’assessore comunale Bellettieri ne è un esempio. Il gesto di forza, tale quale quello verbale nelle risse televisive -chissà quale dei due con maggiori conseguenze- che diventa espressione non tanto di un malcontento, quanto di una volontà di sopraffazione dell’altro. Al di là del fatto che occorre accertare se il gesto intimidatorio di Potenza sia effettivamente tale e non , magari, un gesto di teppismo senza uno specifico destinatario, rimane la drammatica consapevolezza che la vita di tutti sta prendendo una deriva morale sempre più grave. Del resto, del pari verbalmente violente risultano le dichiarazioni del sindaco di Potenza in riferimento all’episodio di teppismo dianzi ricordato. Parla apertamente di mafia e, sembra di capire, di una specifica forma di avvertimento nei confronti suoi e dell’assessore. Mafia è una parola pesante e non so quanto la città di Potenza possa essere così facilmente accostata a un fenomeno malavitoso così lacerante. C’è mafia dove c’è un sistema malavitoso non dove ci sono reati, dove c’è l’antistato. Vieppiù all’indomani di un episodio, sì assolutamente deprecabile e da condannare, ma la cui natura è ancora oscura. Ma il linguaggio, si diceva, pare debba essere per forza forte, deve evocare scenari drammatici, in una parola, violento, altrimenti sembra inutile parlare. E’ come se un ragionamento pacato non interessi o non serva affatto, anche da parte da coloro che, a parole, si professano moderati, o democratici o inclini al dialogo e alla discussione. E quindi all’assuefazione generale sugli atti di corruzione e malaffare “amministrativo”, si accompagnano comunque i processi mediatici, che emettono sentenze prima dei processi; questi sono drammaticamente lunghi e incapaci di riequilibrare la normalità giuridica e a tutto ciò si aggiunge ancora che le relazioni sociali sono a serio rischio, perché, appunto, sembra che l’unico linguaggio comprensibile sia quello della violenza, verbale o materiale che sia. Il punto di non ritorno sembra sempre più vicino se, come sembra, questo linguaggio non appartiene al popolo o solo al popolo, bensì alle sue istituzioni. E, allora, presto, si salverà solo chi potrà. Questo significa vivere in uno stato inesistente, ovvero esistente solo quando deve prendere, non riuscendo a dare più null’altro che incertezze. I più sacrosanti diritti sono ormai in perenne dubbio: non possiamo avere diritto a un lavoro dignitoso, ma neanche a un lavoro qualsiasi, l’illegalità è diffusa quanto accettata, la giustizia, intesa come tutela dei diritti, una chimera, la rappresentatività, una delega in bianco senza conoscere neanche più il delegato. E il mondo rimane diviso nettamente in amici e nemici, nella maniera più antidemocratica immaginabile. E forte si alza il bisogno, invece, di normalità, della fine di ogni emergenza o stato confusionale, di un mondo nel quale si possa essere in disaccordo senza impugnare le armi. Dovrà passare la nottata. Ma quanto è lunga.

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